Storia di Gaia: salvata da un vicino, felice di vivere la sua vita di ragazza
di Laura D’Ettole
Gaia, oggi diciannovenne, deve la vita ad un intervento di rianimazione immediata dopo un arresto cardiaco e alla rapidità d’azione di operatori sanitari e medici dell’ospedale civico di Palermo. “Mai abbattersi e combattere sempre”, dice. Lei così ha fatto e ora, dopo l’impianto del Defibrillatore sottocutaneo e cure adeguate, riesce a vivere esattamente le stesse esperienze che rendono felici i ragazzi della sua età.
Una giornata così non si scorda mai più. Palermo, 3 novembre 2018, Gaia Cestariolli stava tornando a casa. Erano le 18 passate e lei, allora sedicenne, doveva affrettarsi a rincasare in quella giornata già buia. Imbocca una stradina laterale e improvvisamente cade in terra. Esattamente in quel momento scatta una rapidissima serie di eventi che fortunatamente scongiurano il peggio. Un passante la soccorre, mentre un altro giovane, un operatore sanitario esperto in primo soccorso, che si rende conto immediatamente di cosa stia accadendo: arresto cardiaco. Le pratica un massaggio cardiaco, chiama il 118. Pietro, così si chiama il giovane, le salva la vita. Gaia scoprirà in seguito che si trattava di un suo vicino di casa, e ancora oggi mantiene con lui un grande rapporto di amicizia.
“Le uniche cose che ricordo di quei momenti sono un lettino di ospedale, una ragazza accanto a me e la mia famiglia che mi osserva”. Ciò che accade veramente Gaia lo apprende dalla narrazione dei suoi genitori e dei medici dell’ospedale civico di Palermo dove viene immediatamente condotta. Quella notte il suo cuore ha avuto arresti frequentissimi e l’équipe medica l’ha accudita per ore, talvolta disperando che potesse superare la crisi. “Il mio cuore era impazzito”, dice Gaia. Ma il suo racconto non ha mai toni bui. Lei “confusa, stralunata” lottava per vivere. Dopo qualche giorno le impiantano un defibrillatore sottocutaneo, e il percorso per ritrovare l’equilibrio durerà più di due mesi fra riprese, ricadute, nuovi scompensi. “Sono tornata a casa a gennaio, e da allora i controlli cardiologici sono stati sempre più frequenti. Dovevo stare a riposo, non uscire, non potevo andare a scuola, ma mi hanno promosso lo stesso”. Del resto aveva tutti 8 e 9 in pagella, confessa. “La mia malattia però da quel momento è nettamente migliorata, da Cardiomiopatia ipertrofica si è trasformata in cardiomiopatia dilatativa”. A poco a poco Gaia rifiorisce: “Ho preso un po’ di peso, e ora a distanza di qualche anno ho una mia stabilità, un equilibrio”. Può fare tutto ciò che ama fare una giovane diciannovenne: “Esco, vado a ballare, nuoto, basta non affaticare il cuore e prendere regolarmente i farmaci”.
La storia della malattia di Gaia era iniziata molto precocemente, anche troppo: “I controlli erano iniziati addirittura durante la gravidanza di mia madre per via di una familiarità con la cardiomiopatia ipertrofica di mio padre e del nonno”. Nessuno di loro aveva mai avuto sintomi speciali, ma come talvolta accade la scoperta era stata fatta per caso. La diagnosi di cardiomiopatia ipertrofica non ostruttiva per Gaia arriva all’età di tre mesi e purtroppo il quadro non sembra stabilizzarsi in età pediatrica. “Io però facevo una vita normale. Certo, non portavo pesi, non facevo sport, ma ero così magra che non ne avevo alcun bisogno”. I medici comunque la avvertono di un progressivo peggioramento delle sue condizioni e le consigliano di installare un defibrillatore sottocutaneo. “Ma io non avevo mai avuto alcuna difficoltà evidente e confesso che, fissata con l’estetica come sono, non volevo che a causa della mia magrezza si notasse questa “presenza” sotto la pelle”. Oggi Gaia sorride al ricordo di queste sue ritrosie da adolescente: “Anche perché oggi, a intervento fatto, posso dire che in realtà si nota pochissimo”.
Oggi Gaia, diplomata a pieni voti al liceo di scienze umane, ha deciso di non continuare gli studi e di lavorare. Con la forza dolce e determinata che le sono proprie. “Cosa mi ha insegnato l’esperienza della mia malattia? Non bisogna mai abbattersi e combattere sempre. Molti l’hanno superata, e sono certa che nel corso degli anni questa patologia sarà sempre più curabile. Credo nei progressi che si stanno facendo in questo campo e spero tanto di beneficiarne”. A diciannove anni c’è davvero un tempo infinito davanti.