Intervista alla Prof.ssa Martina Smorti docente di Psicologia dello sviluppo

di Francesca Conti

benessere giovani pazientiLa Prof.ssa Martina Smorti Docente di Psicologia dello sviluppo all’Università di Pisa, ha condotto, in collaborazione con la Unit di Cardiomiopatia di Careggi e con il sostegno di AICARM, un’indagine sull’impatto psicologico della malattia nei giovani pazienti. Sono stati creati gruppi di supporto per tardo adolescenti e giovani adulti nei quali è risultato evidente che la condivisione della malattia con altri ragazzi è utile per promuovere la comunicazione della cardiomiopatia anche nelle relazioni sociali più ampie.

Cominciamo con l’introdurre il tema dell’approccio psicologico con i pazienti cardiopatici. Ci può raccontare la sua esperienza? Qual è l’importanza di affrontare la malattia anche dal punto di vista dell’impatto psicologico?
Sono Docente di Psicologia dello sviluppo all’Università di Pisa ma da anni collaboro con la Unit cardiomiopatie dell’Ospedale di Careggi e con il Centro regionale per la diagnosi e la cura della amiloidosi. In entrambi i casi l’obiettivo degli studi è quello di valutare l’impatto dell’intervento sul benessere psicologico. Questo è importante per due motivi: da una parte gli studi ci dicono che il benessere psicologico è legato a un migliore adattamento alla malattia e ha un effetto positivo sullo stato di salute, dall’altra aiuta concretamente ad una migliore aderenza terapeutica. Gli studi fatti finora rilevano che, tra i pazienti cardiologici, chi gode di un maggior benessere psicologico, assume i farmaci regolarmente e monitora più attentamente i sintomi. Questo significa che la salute psicologica ha una ricaduta anche nell’ambito della salute fisica.

Oltre alla dimensione individuale il benessere psicologico del paziente dipende anche dall’accettazione sociale della malattia. Puoi chiarire questo aspetto?
Quello a cui si dovrebbe mirare è l’integrazione, l’adattamento e l’accettazione della malattia non solo a livello individuale ma anche a livello sociale, perché se il paziente capisce, riconosce e accetta la malattia a livello personale, ma non la integra in quelle che sono le sue identità sociali (ovvero quelle che ricopre all’interno del gruppo di amici, del gruppo sportivo, nel suo rapporto con il partner), la tendenza sarà sempre quella di nascondere la malattia. Abbiamo studiato questo aspetto nei giovani con cardiomiopatia rilevando che, se la malattia è accettata a livello personale, non sempre viene accettata e integrata a livello sociale. Per integrare la malattia a livello sociale è importante comunicare la diagnosi di patologia agli amici al partner… ma questo non sempre è facile. Vi è il timore di suscitare compassione negli altri, di essere percepito come diverso, di essere isolato.  Il punto è che quando il giovane non condivide la malattia con le altre persone per lui significative, di solito succedono due cose: o si isola e smette di frequentare il gruppo di amici o, se continua la frequentazione col gruppo dei pari, può comportarsi come se fosse sano col rischio di esporsi a dei rischi per la salute. Il giovane tenderà a svolgere in gruppo le stesse attività che svolgono gli altri, andando a correre, facendo sport, viaggiando o adottando altre pratiche normali ma che per il giovane con cardiomiopatia sono pericolose.  Per favorire l’accettazione della malattia anche a livello sociale un primo passo può essere quello di condividere la propria condizione con altri pazienti. Lavorare con gruppi di pazienti è una delle strategie spesso usata anche in contesti esteri. Ad esempio in Gran Bretagna l’associazione di familiari Cardiomyopathy UK organizza gruppi di pazienti rivolti a popolazioni di età diversa. Vi sono quindi gruppi di pazienti per bambini, adolescenti, giovani adulti, adulti e anziani oltre che gruppi per caregiver e familiari di pazienti (ad esempio gruppi per genitori di giovani pazienti). Tali gruppi,  che, attraverso la condivisione di esperienze, favoriscono un migliore adattamento e accettazione della malattia. Attraverso lo scambio di esperienze e la condivisione di vissuti infatti si può ricevere input e apprendere strategie differenti per affrontare la malattia o modi diversi di guardare ad essa.

Quello che abbiamo cercato di fare con AICARM è stato proprio questo, realizzare dei gruppi di supporto per i pazienti tardo adolescenti e giovani adulti perché questa è una fase di vita critica sia da un punto di vista evolutivo che clinico. Da un punto di vista evolutivo infatti, n questa fase di vita infatti i ragazzi affrontano scelte importanti da un punto di vista formativo e lavorativo, raggiungono una graduale indipendenza economica,  vanno a vivere per un conto proprio sancendo la definitiva separazione dalla famiglia d’origine, instaurano relazioni di coppia che spesso li portano a costruire una nuova famiglia . Da un punto di vista clinico questa è una fase di vita importante perché avviene il passaggio dalle cure pediatriche a quelle dell’adulto. Intervenire quindi in questa fase può promuovere un migliore adattamento alle sfide normali della vita, come per esempio trovare un lavoro che sia adatto alla propria capacità funzionale e fare delle scelte di vita o attività che si integrino con la propria identità che è costituita anche dalla malattia. L’esperienza dei gruppi di pazienti per tardo adolescenti e giovani adulti ha evidenziato che la condivisione della malattia con altri ragazzi è utile per promuovere la comunicazione della cardiomiopatia anche nelle relazioni sociali più ampie. Il gruppo favorisce una maggiore accettazione della malattia non solo a livello personale ma anche sociale.

Quanto è importante intervenire anche sui familiari, sul partner e più in generale sulle persone che stanno intorno al paziente?

È molto importante come testimoniano i dati dello studio che abbiamo condotto con l’Università di Pisa in collaborazione con la Unit di Cardiomiopatia di Careggi, e i dai dati di ricerca internazionale. Questo è confermato anche dai bisogni espressi dai pazienti attraverso le i gruppi di supporto. I pazienti stessi hanno riportato, da una parte questa forte preoccupazione dei genitori per la loro condizione clinica, dall’altra in alcuni casi la non accettazione: un vero e proprio rifiuto della diagnosi da parte dei genitori che imponeva ai pazienti di comportarsi normalmente, travalicando la condizione clinica. I gruppi di genitori sono importanti per favorire l’accettazione della malattia e per esprimere preoccupazioni e dubbi che probabilmente non si sentono di poter esprimere con il figlio per non caricarlo di ulteriori ansie e preoccupazioni. Un confronto con gli altri genitori di pazienti può farli sentire meno soli perché si trovano a condividere le preoccupazioni e possono scoprire dagli altri genitori strategie e modalità diverse per affrontare la relazione con i figli.

Come stanno procedendo questi vostri lavori e quali saranno i prossimi passi?
La prima fase del progetto sul benessere psicologico dei giovani con cardiomiopatia realizzato con AICARM è in fase di conclusione. Tuttavia, a partire dai bisogni espressi dai pazienti, spesso riscontrati anche in letteratura, riteniamo che il prossimo passo dovrebbe essere quello di prendere in carico anche i familiari e realizzare dei gruppi di supporto per i genitori dei pazienti tardo-adolescenti e giovani adulti che, come già sottolineato, affrontano una fase di vita particolare, insieme a loro tutta la famiglia. Proprio per questo terrei il focus sui genitori dei pazienti in questa fase di vita, perché anche loro devono traghettare e favorire l’autonomia del figlio, la separazione anche abitativa, sostenere le scelte autonome senza un’eccessiva preoccupazione che ponga limiti alle scelte di vita.

E per quanto riguarda la gravidanza ?
Secondo me un altro aspetto molto importante potrebbe essere quello di pensare a un supporto nell’ambito della pianificazione della gravidanza. Mi sono occupata per molto tempo di benessere perinatale delle donne e ho condotto studi su gravidanze a rischio, ho ben presente il vissuto pesante che le donne con gravidanza a rischio affrontano. Eppure uno dei limiti delle ricerche è che tutti si focalizzano sulle donne dato che sono quelle che devono portare avanti la gravidanza e hanno un carico sia fisico che psicologico di preoccupazioni, ma gli uomini sono spesso trascurati. In questo tipo di malattie, che sono ereditarie, c’è il rischio di trasmissione e quindi anche gli uomini hanno un carico psicologico altrettanto importante: si chiedono che tipo di eredità potranno lasciare ai figli, come si potranno rapportare con il figlio, come potrà essere il rapporto qualora anche il figlio dovesse essere affetto dalla stessa malattia, se riusciranno a vederli crescere.  Sarebbe quindi utile prevedere un sostegno nel momento in cui si pianifica la gravidanza, quando si decidono le scelte terapeutiche da un punto di vista farmacologico ma anche psicologico.

C’è infine la delicata questione dell’attività sportiva.
Un altro punto sollevato dai giovani pazienti è quello dell’interruzione dell’attività sportiva, quando passano da essere sportivi agonistici a non esserlo più, questo è un passaggio molto delicato che dovrebbe essere sostenuto, proprio perché l’attività sportiva non è solo sport ma è anche un contesto di socializzazione con il gruppo dei pari. Quando l’agonismo viene interrotto si viene anche a perdere totalmente un gruppo di sostegno che è stato importante.

Prof.ssa Martina Smorti

Martina Smorti, psicologa, psicoterapeuta e professore associato in Psicologia dello sviluppo all’Università di Pisa, da tempo svolge ricerca sul ruolo che alcune patologie o condizioni cliniche hanno sul benessere psicosociale degli individui nelle diverse fasi evolutive. Per quanto riguarda i pazienti con patologie cardiache i suoi studi si sono concentrati sul benessere psicosociale di adolescenti e giovani adulti con cardiomiopatia, e sul benessere psicologico nei pazienti anziani con amiloidosi e dei loro caregiver. E’ attualmente coinvolta nel progetto europeo VITAL (VIrtual Twins as tools for personalised Clinical care) che intende creare un gemello umano virtuale (virtual human twin) per l’ottimizzazione della terapia farmacologica e interventistica per alcuni disturbi cardiovascolari. In tale progetto è responsabile della valutazione dei fattori psicologici correlati all’accettazione del virtual human twin da parte dei pazienti.