La diagnosi di Cardiomiopatia è un terremoto nella vita di un essere umano. Sapere di avere un cuore che non è “normale” o addirittura “malato” rompe l’equilibrio nel quale si è vissuto fino ad allora e rende necessario costruirne uno nuovo, che consenta di accettare la Cardiomiopatia e di adattarsi nel miglior modo possibile.
Accettazione ed adattamento richiedono tempo e dipendono da diversi fattori, legati alla personalità ed all’ambiente (carattere, età, presenza o meno della rete familiare sociale ed amicale), alla eventuale necessità di terapie specifiche e soprattutto a come queste vengono presentate o “imposte” dal cardiologo. Un esempio è costituito dall’ impianto di un Defibrillatore, che può essere proposto in modo erroneo con prospettive terrificanti relative al rischio di morte improvvisa, invece di essere proposto come un elemento di supporto: un apparecchio in grado di garantire la sicurezza della nostra vita.
Il processo di accettazione ed adattamento può essere difficoltoso e molto lungo, tale da comportare una notevole sofferenza mentale con dispendio di energie fisiche e psichiche, sintomi ansiosi e disturbi del sonno. In questo caso è utile un aiuto specialistico per alleviare la sofferenza e risolvere i disturbi, favorendo il processo di elaborazione ed accettazione della malattia.
Episodi di scompenso, ricoveri ospedalieri, cambiamenti terapeutici possono rappresentare ulteriori momenti critici, in cui per il paziente è necessaria una “ri-negoziazione” con la malattia e con il proprio corpo. Quando questo processo fallisce o risulta difficile, il paziente può lamentare sintomi ansiosi o depressivi con senso di frustrazione, incapacità ed impotenza.
La proposta di un dispositivo salva-vita, come il Defibrillatore, anche se formulata bene, può essere vissuta in modo ambivalente e rappresentare un momento di crisi. Sentita come un intervento che preserva la vita, può apparire anche, per il timore delle scariche inappropriate, minacciosa e persecutoria al punto tale da risultare insopportabile. Il pensiero che venga impiantato nel proprio corpo uno strumento estraneo, che si “sente” continuamente sotto la pelle e modifica la percezione del nostro corpo, può portare al rifiuto dell’impianto, nonostante i vantaggi e le garanzie che potrebbe comportare.
Il periodo di attesa del trapianto, anche per pazienti fortemente motivati, può essere destabilizzante e molto difficile: la speranza e l’attesa del cambiamento si alternano all’angoscia di ciò che deve essere affrontato, al punto da arrivare ad un forte stato ansioso e depressivo.
La convivenza con la Cardiomiopatia, a volte, comporta la rottura di equilibri faticosamente raggiunti e la costruzione di nuovi, con uno sforzo notevole che può mettere in crisi il benessere psicologico del paziente. Quando questo accade, come sopra esposto, è indispensabile l’intervento dello specialista che valuti la modalità più funzionale di aiuto. Può essere sufficiente il sostegno psicologico attraverso colloqui settimanali o quindicinali, eventualmente associato ad una terapia farmacologica. Questi interventi possono consentire una rapida modifica della condizione di sofferenza ed il rapido recupero del benessere.