Nuovi farmaci per la Cardiomiopatia Ipertrofica: verso la medicina di precisione in cardiologia
Prof Iacopo Olivotto, Unit Cardiomiopatie – AOU Careggi Firenze
Quando si pensa ad una cardiopatia, si pensa in genere ad un cuore con una funzione depressa, come nel caso di un paziente con un precedente infarto miocardico esteso, o del classico scompenso classico detto “ipocinetico” o con “funzione sistolica ridotta”, termini che indicano appunto un deficit contrattile del muscolo cardiaco. In effetti, questo è il modello di gran lunga predominante in cardiologia, e quello per cui sono stati sviluppati quasi tutti i farmaci attualmente disponibili nella pratica medica. Lo sviluppo degli ormai classici farmaci anti-scompenso, quali ACE-inibitori e betabloccanti, hanno radicalmente cambiato la prognosi dei pazienti con questo tipo di cardiopatie.
La Cardiomiopatia Ipertrofica (CMI) rappresenta un modello più raro e del tutto diverso. Si tratta di una patologia genetica causata da un difetto nei geni delle proteine contrattili del cuore, veri e propri mattoni costituenti il motore del nostro organismo. La peculiarità è che invece di indebolire il muscolo cardiaco, le mutazioni funzionano come una sorta di “doping” naturale e ne esaltano la funzionalità. Da un motore diesel qual è normalmente il cuore, in questi pazienti i cuori diventano fuoriserie turbo.
Questo stato di cose può essere inizialmente ben tollerato e addirittura favorevole – tanto è vero che molti pazienti giovani sono asintomatici ed hanno addirittura ottime performance sportive. Tuttavia, il dispendio energetico che ne consegue porta ad alterazioni strutturali progressive, che sono all’origine della fragilità di questi cuori; fragilità che può manifestarsi in qualunque età con aritmie, sintomi e progressione verso l’insufficienza cardiaca e poi lo scompenso. Questo vale soprattutto nelle forme in cui l’ipertrofia e le alterazioni della valvola mitrale, spesso presenti, determinano una ostruzione al flusso di sangue che esce dal cuore ad ogni contrazione: la cosiddetta Cardiomiopatia Ipertrofica Ostruttiva, presente a riposo in circa 1/3 dei pazienti e in circa il 70% durante uno sforzo, in particolare dopo il pasto.
Nonostante un impressionante avanzamento delle conoscenze in questo ambito e di miglioramento di sintomi e qualità della vita in molti pazienti con i farmaci attualmente disponibili, non era ancora stato sviluppato un trattamento farmacologico specifico, con un farmaco che agisse a livello dei meccanismi molecolari di base della malattia, cercando di normalizzare la situazione contrattile, energetica e la storia naturale. Tutto questo sta fortunatamente per cambiare.
Sulla base di studi genetici e molecolari sviluppati negli ultimi 20 anni, si è ipotizzato che piccole molecole in grado di legarsi alla “miosina” cardiaca, cioè la proteina chiave, fondamentale per la contrazione del cuore, e di ridurne la
super-attività, potessero essere di beneficio nei pazienti con Cardiomiopatia Ipertrofica.
Fin dall’inizio gli esperimenti hanno mostrato effettivamente una normalizzazione di varie anomalie sia su cellule isolate in laboratorio che in modelli animali. Due molecole con tali proprietà sono state sviluppate e introdotte alla sperimentazione su pazienti: il Mavacamten (MYK-461) e il CK-274.
La prima è ormai arrivata a completare un importante studio di Fase 3, cioè una sperimentazione clinica propedeutica alla immissione sul mercato; è probabile che il Mavacamten possa essere disponibile per i pazienti nel corso del 2021, dopo le ulteriori verifiche di sicurezza richieste dall’agenzia statunitense (FDA) ed europea (EMA). Lo studio Explorer HCM, cui ha partecipato il centro di Firenze, è stato presentato al prestigioso congresso della Società Europea di Cardiologia lo scorso Agosto.
Si tratta di un trial condotto su oltre 60 centri in USA e in Europa, su 251 pazienti con Cardiomiopatia Ipertrofica Ostruttiva, randomizzati a ricevere Mavacamten o placebo. Nel corso di 30 settimane di trattamento, il Mavacamten si è in grado di migliorare in modo marcato l’ostruzione al flusso di sangue, i sintomi, la capacità funzionale e la qualità della vita in circa i 2/3 dei pazienti.
La cosa importante, trattandosi di un farmaco del tutto nuovo, è che questi risultati sono stati ottenuti in modo sicuro, con un profilo simile al placebo in termini di effetti collaterali ed eventi avversi.
Questo studio può essere considerato una pietra miliare nella storia della CMI, non solo perché porta finalmente ai pazienti un farmaco specifico e di grande efficacia, ma anche perché apre nuovi scenari, in termini di investimenti e di sviluppo per tutto il settore delle cardiomiopatie. Come il decennio passato ha rappresentato una svolta decisiva per la terapia dei tumori, con lo sviluppo di centinaia di molecole “mirate” che hanno portato a risultati impensabili nel paziente oncologico, così il decennio appena iniziato promette di portare una svolta epocale per le patologie cardiache, ad iniziare dalle forme di origine genetica.
Il cammino è ancora lungo, e interi settori della medicina di precisione – come ad esempio le terapie geniche – sono ancora ad uno stato embrionario in cardiologia. Possiamo dire di essere solo all’inizio di questo cammino, che richiederà tempo, investimenti e sinergie potenti tra pazienti, sanitari, ricercatori e industria.
Ma come dice un proverbio arabo: “Chi è sulla giusta strada, è già arrivato”.