di Laura D’Ettole
Non è facile tenere gli occhi asciutti quando racconto la storia di Marco, mio figlio. Ma a distanza di 16 anni ho lavorato a lungo sulla mia perdita. Vivo mandando avanti il lavoro che avrebbe voluto fare lui, cerco di fare quello che sarebbe piaciuto a lui e soprattutto raccolgo costantemente fondi per AICARM e la ricerca scientifica, perché è l’unica che può dare risposta a un interrogativo che per me non ha mai fine. La definiscono “morte improvvisa” e nel caso di mio figlio è stato proprio così. E’ arrivata a 24 anni una sera in una palestra dove stava giocando a pallone, la passione di tutta una vita. Senza alcun sintomo, senza nessuna avvisaglia.
Io sono Sandra, 68 anni, lavoro in un negozio di arredamento che abbiamo costruito con mio marito Maurizio insieme ad altri tre soci. Avevo 20 anni quando ho iniziato, 21 quando mi sono sposata: troppo presto, mi dico adesso, incoscienza della gioventù! A 28 anni è nato Marco. Una gioia immensa come si può immaginare. E’ rimasto il nostro unico figlio.
A 6 anni lo abbiamo iscritto alla scuola calcio Florentia: tutti molto professionali, preparati. Lo hanno seguito nel tempo anche dal punto di vista medico. Marco sale ogni gradino: pulcino, allievo, juniores. A 14 anni cambia società, comincia a giocare con la Sporting Arno ma a 17 anni molla tutto. Doveva scegliere se iniziare un percorso professionale nel mondo del calcio, squadre importanti lo cercano. “No mamma, non fa per me, soldi non ne voglio. Non voglio essere pagato e sfruttato. Voglio divertirmi”. E così fa. Per tutta la vita quella rimane la sua passione, con le infinite partite di calcetto con gli amici di Pratolino e gli allenamenti continui in palestra.
Adesso vi presento Marco adulto. Tanti amici, sempre tranquillo, pacato, vitale e con progetti molto concreti in testa. Prende il diploma di geometra, ma non se la sente di continuare a studiare. Vuole lavorare nel negozio di mobili di famiglia e ci riesce a meraviglia da subito. Insieme a Massimiliano, il figlio di un altro socio, progetta sviluppi futuri. Si fa una sua clientela, monta cucine, porta sulla schiena un frigo fino al quinto piano come se fosse niente. Poi, come fortunatamente accade nella vita, si innamora di Costanza. Ha 19 anni e le idee chiare: a 23 anni va a vivere con lei. Era l’ultimo dell’anno del 2006.
Lunedì 3 dicembre 2007, come scordare quella data, abbiamo lavorato tutto il giorno insieme. La sera lui esce dal negozio, mi saluta: “Ciao mamma ci vediamo domattina”. Poi come sempre si reca in palestra a giocare. Io torno a casa dopo qualche ora. Mio marito non c’è. E perché mai? Mi chiedo. Gli telefono, non risponde lui ma un’amica: “Sandra, siamo in palestra, Marco non si sente bene, …”. Fra casa mia e la palestra la distanza di centro metri si dilata a dismisura, mi viene incontro una sua amica, entro, Marco era già clinicamente morto. Però sembrava ci fosse ancora un soffio di vita e insisto, insisto per portarlo all’ospedale. Passa due giorni infiniti in rianimazione con quei tubicini che non riuscivo a guardare. Poi viene dichiarato il decesso.
“Perché, perché dottore? Come è potuto succedere? Mai un sintomo, mai un malessere, mio figlio era la vita stessa”. Hanno sottoposto a indagini noi tutti i familiari, fortunatamente senza riscontrare segni di cardiomiopatia.
Avevo 52 anni e tanta forza dentro. Sono una donna semplice e ho ricominciato dalle piccole cose. Mi hanno aiutato i miei soci, i miei cari, tutto il paese si è stretto a me. Hanno chiamato con il suo nome la palestra in cui tutto è accaduto. Ogni anno organizzo una pesca di beneficenza per raccogliere fondi per l’Associazione AICARM. Passo in ogni casa e uno mi dà un paio di occhiali, qualcun altro un vaso da vendere. Alla fine metto in una stanza tutto ciò che mi danno e raccolgo soldi. Intanto vivo nel ricordo di lui e di quei 24 anni passati insieme. Mando avanti il lavoro che anche lui faceva. E cerco la pace.