A cura di: Dr.ssa Alessia Argirò e Prof. Franco Cecchi
Il 13-14 Aprile 2023 si è svolto a Firenze il congresso “Advances in pediatric heart failure: congenital heart disease and cardiomyopathies” , organizzato dal Prof. Olivotto, dalla Dr.ssa Favilli (Firenze) e dal Prof Kaski (Londra), e sostenuto dalla Fondazione Menarini. Esperti nazionali ed internazionali si sono confrontati sulle attuali conoscenze e sulle novità derivate da risultati della ricerca scientifica sul trattamento delle Cardiomiopatie in età pediatrica e delle cardiopatie congenite anche in età adulta.
Ma cos’è innanzitutto la terapia genica? Per comprenderne meglio i meccanismi facciamo un passo indietro e parliamo del codice genetico.
La struttura e la funzione del nostro organismo sono determinati dal nostro codice genetico, il DNA, a partire dal quale vengono prodotte tutte le proteine indispensabili per le necessità del nostro corpo. Così come un libro è costituito da lettere con le quali è possibile costruire parole ed intere frasi, il codice genetico è costituito da una serie di lettere che, ordinate in diversa sequenza e lunghezza costituiscono i “geni”, ormai ben identificati, che servono a formare le proteine fondamentali per il funzionamento del nostro organismo, incluso il cuore.
Così come in un libro possono essere presenti errori di battitura, la mancanza di una frase oppure anche di un capitolo, anche nel codice genetico si possono riscontrare delle alterazioni, che vengono chiamate “mutazioni” o “varianti”.
Non sempre una mutazione genetica è responsabile di patologia, tuttavia in alcuni casi un errore nel codice genetico di solito presente in uno solo della coppia di cromosomi che contengono il codice genetico, può consentire la produzione di una proteina incompleta oppure lievemente alterata e quindi malfunzionante.
Mentre le terapie convenzionali mirano a limitare le conseguenze derivanti da una proteina malfunzionante, o in alcuni casi, come apportare la proteina funzionante dall’esterno (ad esempio nella malattia di Fabry), la terapia genica ha come obiettivo quello di risolvere il problema alla radice.
Facciamo qualche esempio: se la cardiomiopatia deriva dall’assenza di una certa proteina, sarà possibile fornire alla cellula la porzione di codice genetico “corretta” in modo da consentire la sua produzione. Mantenendo la metafora del libro, verrebbe “aggiunta” una parola mancante. Oppure, qualora la mutazione comportasse la produzione di una proteina mal funzionante, mediante sofisticati meccanismi, potrebbe essere possibile “correggere” direttamente il codice genetico, così come si corregge una lettera in un errore di battitura.
Ma come è possibile trasportare materiale genetico all’interno delle cellule? L’approccio più utilizzato attualmente prevede l’uso di vettori virali, quindi virus (solitamente adenovirus) resi inattivi ma in grado di trasportare e inserire del materiale genetico all’interno delle cellule, iniettati per via endovenosa.
Mentre sulla carta questo approccio potrebbe sembrare fantascientifico, la terapia genica è già stata approvata in Europa nella terapia di malattie genetiche nel campo dell’oculistica e della neurologia. In cardiologia negli Stati Uniti sono attualmente in corso studi clinici per la malattia di Fabry e la malattia di Danon.
I risultati preliminari di questi studi, condotti su un numero limitato di pazienti, e presentati durante la sessione dedicata alla terapia genica del congresso ospitata da AICARM, sono apparsi incoraggianti. Hanno mostrato un miglioramento dei parametri di funzionalità cardiaca e di qualità della vita nella maggioranza dei pazienti che hanno aderito alla sperimentazione.
Sono invece ancora in fase di pianificazione ed approvazione da parte dell’ente regolatore degli Stati Uniti (FDA), studi per il trattamento dei pazienti con mutazioni specifiche della cardiomiopatia ipertrofica ed aritmogena.
L’entusiasmo per questa nuova tecnica è comunque mitigato da alcuni problemi ancora da risolvere. Ad esempio L’utilizzo del virus (adenovirus) come trasportatore comporta infatti alcuni svantaggi, in particolare, se il paziente possiede anticorpi contro il virus stesso perché, come succede in molti di noi, ha avuto contatto con l’adenovirus in passato, non potrà ricevere la terapia in quanto gli stessi anticorpi andrebbero a neutralizzare il virus azzerandone l’efficacia. Qualche dubbio resta anche sulla durata effettiva della terapia e sugli effetti a lungo termine di questa tecnica.
In conclusione, la terapia genica in cardiologia è attualmente in fase di studio, i risultati sull’utilizzo di questa tecnica nella malattia di Danon e nella malattia di Fabry sono incoraggianti, sebbene ancora preliminari.
Nell’attesa dei dati finali di questi studi, la speranza è che questo nuovo tipo di tecnica possa rappresentare nel futuro prossimo una delle opzioni terapeutiche anche per i pazienti con cardiomiopatia di origine genetica.