di Sofia Palma.
L’arresto cardiaco (AC) improvviso in ambito sportivo si definisce come un evento inaspettato che si manifesta durante l’attività sportiva agonistica o ricreativa (92% dei casi), o al massimo entro un’ora dal termine della stessa (nel restante 8%). Questi eventi rappresentano circa l’1-2% del totale degli arresti cardiaci improvvisi, ma acquisiscono un’alta risonanza mediatica presso l’opinione pubblica, dato che avvengono in soggetti giovani, apparentemente sani e talvolta famosi. E’ noto che se il soggetto con AC non viene rianimato prontamente entro i primi minuti, si può avere il decesso oppure danni irreversibili agli organi vitali, in particolare danni cerebrali.
Nella popolazione generale in gran parte dei soggetti adulti e anziani l’AC si manifesta a causa di patologie delle arterie coronarie (infarto acuto per occlusione di un vaso), mentre nei più giovani per cardiopatie strutturali, come le Cardiomiopatie, o per cardiopatie che interessano la formazione e la conduzione elettrica nel cuore (dette “canalopatie”). In circa il 30% dei casi la causa resta ignota.
Da molti anni c’è un ampio dibattito al fine di comprendere questo fenomeno e su come risolverlo. Nel 2022 sul Journal of the American College of Cardiology Nicole Karam e collaboratori hanno pubblicato uno studio che riporta l’evoluzione dell’incidenza, della gestione e della prognosi dell’AC negli sportivi in Francia, nel periodo compreso tra il 2005 e il 2018, sulla base dei dati tratti dal database del French National Institut of Health and Medical Reasearch. L’incidenza dell’AC improvviso negli atleti è rimasta sostanzialmente invariata nel tempo (6,2 per milioni di abitanti l’anno) mentre il tasso di sopravvivenza senza complicanze è triplicato nei 13 anni di osservazione, passando dal 23.8% al 66.7%.
Gli autori dello studio ipotizzano che questo miglioramento sia stato possibile per l’intervento attivo nei primi minuti dall’evento, grazie all’istruzione della popolazione alla rianimazione cardiopolmonare (RCP) e all’uso del defibrillatore semiautomatico (DAE).
In ambito di prevenzione l’utilizzo della visita e di un ECG a riposo e dopo sforzo negli sportivi è invece dibattuto. Anche se si ritiene che l’esclusione di atleti con ECG sospetto, contribuisca a diminuire in modo importante gli eventi di AC, allo stesso tempo non è un intervento sufficiente a valutare il rischio a medio-lungo termine, soprattutto nelle discipline sportive particolarmente impegnative e di lunga durata. La corretta strategia di screening dovrebbe tener conto dell’età dell’atleta, e della possibilità di osservare non solo l’ECG a riposo e durante sforzo massimale, ma anche la morfologia e la funzione del cuore con un esame ECOcolordoppler o di Risonanza magnetica cardiaca, e/o delle arterie coronarie con TAC coronarica. In soggetti selezionati, si può monitorare l’atleta durante lo sforzo fisico, anche utilizzando strumenti indossabili al fine di rilevare eventuali segnali di rischio come aritmie ventricolari potenzialmente fatali. Il tutto comporta un notevole aumento dei costi sia a carico del servizio sanitario nazionale che per lo sportivo.
Per quel che invece riguarda la formazione della popolazione, ormai è chiaro che la sopravvivenza del soggetto che ha un AC è in gran parte determinata dal soccorso effettuato nei primi minuti dall’evento stesso, basato quindi su una corretta RCP e sulla presenza e utilizzo di un DAE. Nello studio sono stati riportati dati molto positivi relativi alla diffusione in Francia delle competenze per la RCP (passate dal 34.9% del 2005 al 94.7% del 2018) e per l’utilizzo del DAE (dal 1.6% al 28.8%).
In conclusione, per ridurre l’incidenza dell’AC e della morte cardiaca improvvisa negli atleti, rimasta costante in Francia dal 2005 al 2018, ma con un rilevante aumento della sopravvivenza senza complicanze, occorre estendere i programmi di formazione della popolazione alla RCP e aumentare l’installazione dei DAE.
Se in Italia questo avvenisse, ad esempio, coinvolgendo nella formazione gli studenti delle scuole medie e superiori e installando i DAE in tutti i luoghi di lavoro oltre che in ambito sportivo, si migliorerebbe la sopravvivenza senza complicanze anche nella popolazione generale.