Mi chiamo Dino, ho 44 anni, ho scoperto di avere problemi cardiaci all’eta’ di 23 anni, in occasione di una visita per l’idoneita’ all’attivita’ agonistica presso un centro di medicina dello sport.
Avevo un “soffio” piuttosto marcato e la prova da sforzo fece emergere all’epoca delle anomalie del battito durante lo sforzo e nel recupero: ricordo ancora molto bene la gran fatica nello scendere e salire quel gradino al ritmo incalzante e implacabile del metronomo! Un paio di mesi piu’ tardi, un’ecocardiogramma di approfondimento fatto in ospedale accerto’ che ero affetto da un’ipertrofia del setto interventricolare. “Una cosa seria”, secondo il Dr. Iacovoni, il cardiologo del Papa Giovanni XXIII che mi visito’ ed invito’ senza tanti giri di parole a mettermi subito nelle mani degli specialisti dell’ospedale, perché da soli i farmaci in questo campo non sarebbero bastati.
Fu un vero e proprio shock. Continuai a fare la mia vita evitando il piu’ possibile di pensare alla malattia e ricordandomi di quel referto solo per ottenere l’esonero dal servizio di leva obbligatoria. Mi ci vollero 7 anni per metabolizzare la diagnosi di Cardiomiopatia Ipertrofica, ma a 30 anni dovetti cedere alla necessita’ di affrontare la questione.
Non seguendo le proibizioni del medico e del cardiologo (!), giocavo a calcio per diletto e mi accorgevo che la mia resistenza allo sforzo era sempre piu’ bassa, nettamente diversa da quella dei miei compagni. Il cardiologo certifico’ una Cardiomiopatia Ipertrofica Ostruttiva e mi prescrisse un betabloccante: il Sequacor.
A 35 anni, 12 anni dopo la profezia del Dr. Iacovoni, la malattia progrediva e la terapia non produceva effetti apprezzabili. Il cardiologo mi consiglio’ quindi di rivolgermi ad uno specialista e fu allora che varcai la soglia dello studio fiorentino del piu’ grande esperto in Italia: il Professor Cecchi. Grazie a lui, nel giro di pochi mesi passai da una condizione di incertezza e rifiuto alla importante scelta di combattere la malattia per via chirurgica. Un fattore determinante in quella decisione fu anche lo spavento per il primo episodio di Fibrillazione Atriale che occorse durante una vacanza in Sicilia: feci istintivamente una corsa verso la macchina in cui avevo dimenticato il cellulare e per 2 ore mi ritrovai con un cuore impazzito nel petto.
Qualche mese dopo, a 36 anni, fui operato al Papa Giovanni XXIII dall’eccellente equipe, diretta allora dal Prof. Ferrazzi. Un intervento riuscito alla perfezione e che ho sopportato molto bene. Da allora seguo un programma di
controlli annuali presso l’Ospedale S.Luca (Istituto Auxologico di Milano), seguito da giovani cardiologi molto preparati e in continuo aggiornamento, proprio grazie alla collaborazione con il Professor Cecchi. Come sto oggi? Complessivamente bene. Ho una famiglia con due bambini che faccio periodicamente controllare, cerco di fare una vita normale, stando soprattutto attento a non fare sforzi improvvisi o prolungati. Sono in terapia con Nadololo e Coumadin, per via delle aritmie: infatti a quel primo episodio di fibrillazione atriale in Sicilia, ne sono seguiti altri circa ogni 6 mesi. Ma il mio cuore ogni volta, per ora, si “risistema” da solo, per cui… avanti cosi’ e speriamo nei progressi della ricerca!
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