La felicità di Gloria: il gene della cardiomiopatia dilatativa non si è trasmesso ai figli

di Laura D’Ettole

Era un tardo pomeriggio di gennaio 2021 quando Gloria Capecchi riceve sul cellulare un messaggio che la lascia incredula per la felicità. Le parole non le uscivano, non riusciva a dirlo al marito: i suoi due figli, Elia e Teresa di 15 e 10 anni, non avevano alcun gene mutato. La cardiomiopatia dilatativa che aveva colpito la sua famiglia da generazioni aveva chiuso il cerchio, si era esaurita con lei. “Tutti quei giorni passati con il senso di colpa, l’angoscia di aver trasmesso ai miei figli un futuro problematico è svanita in un lampo”. 

Gloria CapecchiGloria, 43 anni, vive ad Arezzo e si occupa di formazione nelle scuole. Dietro di sé ha una storia che coinvolge la sua famiglia da sempre. Nel 1997 il padre, a soli 42 anni, subisce un trapianto di cuore dopo una lunga malattia che lo aveva ridotto “in condizioni estreme”. Anche il nonno era morto di una malattia cardiaca a cui, vista l’epoca, non avevano saputo dare nome e cognome. Anche le zie.

Gloria e Lorenzo, il fratello più giovane di otto anni, non hanno avuto alcun sintomo per molto tempo. Nonostante gli accertamenti continui non appariva niente di patologico. Ma arriva il momento dell’indagine genetica. “Una decina di anni fa viene individuato il gene responsabile della malattia di nostro padre e qualche tempo dopo sono andati a cercarlo in me e mio fratello”. Purtroppo il gene mutato era lì, lo avevano anche loro. C’era il 50% di possibilità di sviluppare la malattia. E dopo poco, Gloria aveva 36 anni allora, i primi sintomi fanno la loro comparsa. Entrambi i fratelli cominciano ad avvertire le prime aritmie cardiache, ma non finisce qui. Il ventricolo sinistro di Gloria comincia a ingrossarsi.

“Da quando ho saputo che la malattia poteva manifestarsi ho deciso di non pensarci. Ero certa che non sarei arrivata alla condizione di mio padre, visti i progressi delle conoscenze mediche e farmacologiche”. Eppure questo pensiero costante la accompagnava: “Era come la spina in un dito, a volte l’avverti di più, altre volte di meno”. Poi le aritmie: “Mi sentivo tranquilla, prendevo i farmaci”. Ma talvolta un pensiero solitario e lontano prendeva il sopravvento: “Se andavo a letto e non c’era nessuno, mi dicevo: domattina potrei non svegliarmi più”. 

La svolta arriva pochi mesi fa quando le consigliano di inserire un defibrillatore sottocutaneo. “Molti vivono questo passaggio con drammaticità, ma per me è stato il contrario. E’ importante pensare che c’è qualcosa che interviene e ti salva la vita”. Gloria riacquista un nuovo equilibrio psicologico, ma le sue ansie non sono finite. “I miei due figli, Elia e Teresa, hanno fatto continui controlli cardiologici con esito sempre negativo”. L’indagine genetica, secondo il pediatra, poteva aspettare fino all’età di 20 anni. Ma il caso, e l’inclinazione di Elia, cambiano le carte in tavola. Il ragazzo decide di dedicarsi al rugby, uno sport non certo leggero. In questo caso individuare in tempo l’esistenza del gene responsabile di tanti decessi in famiglia, poteva salvargli la vita. 

Gloria e il marito decidono di sottoporre entrambi i figli a indagine genetica. Il risultato è liberatorio. La catena della cardiomiopatia familiare si è spezzata. La felicità di Gloria è incontenibile, e il suo ottimismo si riflette anche sulla sua condizione attuale: “La medicina fa passi da gigante ormai e mi sento di guardare avanti con speranza perché sono certa che non esiste solo il trapianto nel nostro futuro”.