di Sofia Palma e Franco Cecchi
Innumerevoli saggi sono stati scritti in merito al complesso e delicato rapporto, in continua evoluzione, che si instaura tra medico e paziente nel processo decisionale diagnostico-terapeutico. I tempi in cui il paziente dipendeva dal medico, che decideva in “scienza e coscienza”, orientando le scelte verso quello che lui sapeva essere il bene del malato, sono finiti. Il paziente non può essere più considerato un elemento passivo del processo terapeutico, come il campo di battaglia su cui medico e malattia combattono (Ippocrate).
La distanza da questa visione era stata presa già negli anni ‘70 del secolo scorso, ed è stata sancita di recente con l’inserimento del modulo di consenso informato nella pratica clinica, fondamento della shared decision making, ovvero del processo condiviso di decisioni in ambito sanitario. La firma sul modulo di consenso informato corrisponde a dichiarare di avere tutte le informazioni necessarie per prendere una decisione consapevole, ovviamente se il paziente è in grado di comprendere e non esistono condizioni di emergenza. Questo implica quindi, che la persona ha il diritto di domandare e ricevere queste informazioni per prendere la decisione più giusta, non solo rispetto alla sua condizione clinica, ma anche in base alle proprie preferenze ed ai suoi personali valori etici.
Questa visione comporta nuovi diritti, ma anche doveri, sia per il medico che per il paziente.
In particolare, il medico è tenuto a informare il paziente riguardo alla sua condizione clinica e alle diverse prospettive terapeutiche che ne conseguono, ponendolo di fronte a rischi e benefici di ogni scelta. Allo stesso tempo al paziente viene richiesto di informarsi, fino al momento in cui non sarà sicuro di aver realmente capito quanto necessario per poter partecipare al processo decisionale.
Infatti, soltanto chiedendo, e ancora chiedendo, si possono ottenere i dati necessari per poter decidere e tracciare così la propria strada. Mai sentirsi, a causa dei dubbi che vengono espressi, un paziente scomodo o problematico, perché anche il personale sanitario sa che deve discutere con il paziente. Questo comporta una presa di responsabilità da parte del paziente, che deve partecipare a un processo che porta lo a diventare consapevole di sé e delle proprie scelte, con lo scopo di essere posto al centro del percorso di cura. E’ un aspetto fondamentale anche perché la partecipazione attiva influenza positivamente la sua salute psico fisica e l’esito della terapia. Per arrivare a questo risultato, deve porsi delle domande, condividere pensieri e opinioni e restare informato riguardo a eventuali progressi nel campo medico che lo riguardano. Questo, come sottolinea nei suoi saggi il Prof. Sandro Spinsanti, esperto di bioetica, non corrisponde a un abbandono del paziente che si trova a dover decidere per il suo meglio da solo, quanto a una opportunità per lui di contribuire a tracciare il suo personale percorso diagnostico-terapeutico.
Negli ultimi cinquanta anni il rapporto medico-paziente è stato rivoluzionato. Ma questo è solo una tappa del percorso, verso modelli che tendono sempre più a spostare il focus sul paziente, a cui sempre più è richiesto di porsi in condizione di domandare, capire e partecipare al processo decisionale, e per il personale medico, ad investire tempo ed energie nella formazione, valorizzando la comunicazione e condivisione delle conoscenze.