I volontari di AICARM
Intervista di Francesca Conti
AICARM può vivere e realizzare i principi della sua missione di sostegno ai pazienti grazie al lavoro dei volontari il cui numero è in crescita costante. Questa intervista ad una volontaria che fa parte del servizio Cuori in ascolto (la linea telefonica dedicata ai pazienti e ai loro familiari) apre una serie di testimonianze ed esperienze umane e professionali che sono la sostanza e la ragione della nostra Associazione.
Come hai conosciuto AICARM e come ti sei avvicinata all’associazione?
Ho conosciuto AICARM grazie al Prof. Cecchi nel 2020, quando ho scoperto la mia patologia, una cardiomiopatia ipertrofica. Già alla prima visita Cecchi mi parlò di questa associazione, di quello che facevano e mi coinvolse raccontandomi storie di alcuni suoi pazienti.
È stato immediata la decisione di diventare volontaria o è stato un percorso fatto di tappe di avvicinamento?
È stato un percorso molto veloce, ma è stato comunque un percorso, perché una diagnosi di questo tipo è una diagnosi pesante. La mia prima reazione è stata quella di allontanarmi un po’, di avere a che fare con persone diverse e di cercare distrazioni, non me la sentivo di entrare in un gruppo che avesse come tema principale quella mia patologia che stavo iniziando a conoscere proprio in quel momento. All’inizio ho preso del tempo per pensarci, non molto a dire il vero, ma dopo averci riflettuto un po’ ho deciso di accettare e di entrare nell’associazione.
In quali delle attività di AICARM poi hai deciso di impegnarti?
Come dicevo, siccome è stato un percorso di accettazione di una malattia, c’è stato un momento in cui ho sentito la necessità di confrontarmi con chi stava vivendo le stesse cose. Quindi dopo la prima reazione di allontanamento che ti ho raccontato, avevo bisogno di parlare e soprattutto di ascoltare le esperienze di chi stava vivendo la mia stessa condizione. Quando mi fu proposto l’impianto del defibrillatore, parlai al Prof. Cecchi di questa mia esigenza di confronto con altri pazienti, volevo capire a cosa potevo andare incontro da chi ci era già passato.
Dopo l’intervento, sempre Cecchi mi disse che l’associazione stava realizzando il servizio Cuori in ascolto che di fatto era una messa a punto di ciò che io gli avevo chiesto prima dell’intervento: una linea telefonica dedicata ai pazienti e ai loro familiari che hanno necessità di reperire informazioni tecniche, ma anche il bisogno, come avevo avuto io qualche mese prima, di parlare con qualcuno. È stato in quel momento che ho deciso che era quella la mia missione, era proprio quello che avrei voluto fare.
Adesso faccio parte dello sportello Cuori in ascolto, dedicando semplicemente 3 ore a settimana al volontariato per rispondere a telefonate di pazienti o familiari che molto spesso hanno voglia di chiacchierare con qualcuno che capisce quello che stanno passando in quell’esatto momento.
Com’è per te questa esperienza di trovarti per qualche ora la settimana dall’altra parte?
Per me è un’esperienza molto positiva, perché attraverso un mio percorso personale sono arrivata a un momento di tranquillità, mi sento serena per quanto riguarda la mia vita, ho superato il momento buio che attraversiamo tutti al momento della diagnosi. Quindi parlare con le persone e riuscire a passare un po’ di ottimismo è davvero molto bello, alla fine della telefonata mi tornano indietro tante emozioni. Spesso ho preso telefonate che sono iniziate con un tono preoccupato e poi sono finite con una battuta. Mi fa piacere riuscire a trasmettere un po’ della mia tranquillità. Ovviamente ci sono casi e casi, però vedo che le persone apprezzano di sentire dall’altra parte qualcuno che è capace di farli sorridere o comunque di alleggerire il loro stato d’animo.
Mi è capitato di sentirmi inizialmente spiazzata quando qualcuno dall’altro capo del telefono mi ha chiesto se anch’io fossi avessi la stessa malattia. Ma è una cosa che capisco perché chi chiama vuole confrontarsi con chi sa esattamente cosa si prova. Vedo che apprezzano quando trovano dall’altra parte chi sa esattamente quello che loro stanno passando, senza nulla togliere ai volontari che, fortuna loro non sono cardiopatici, il cui apporto è fondamentale.
Che valore ha per te il volontariato?
È come se ci fosse in quello che si dà nel volontariato sempre qualcosa che torna indietro, e mi viene da dire ‘egoisticamente’. Questo tipo di volontariato aiuta anche in quei momenti in cui mi sento più sola e penso alla sfortuna che mi è toccata con questa diagnosi, la condivisione mi aiuta. Aiutare gli altri, aiuta tanto anche me, mi fa sentire di fare qualcosa di importante.