Intervista al Prof. Federico Mecacci direttore dell’Unità di medicina materno fetale e gravidanze ad alto rischio di Careggi
di Laura d’Ettole.
Lo sforzo cardiaco di una donna in gravidanza è pari a quello di un giocatore durante una partita di calcio. Solo che il calciatore dopo novanta minuti va a riposarsi, mentre la donna subisce questo stress ora dopo ora, settimana dopo settimana, per mesi. Per questo una gestante affetta da cardiomiopatia deve essere seguita da un complesso sistema di monitoraggio e da un team multidisciplinare. Ce ne parla Federico Mecacci, direttore dell’Unità di medicina materno fetale e gravidanze ad alto rischio dell’ospedale fiorentino di Careggi.
Come è costituita l’Unità operativa che lei dirige?
La nostra Unità è parte di un network regionale sulle gravidanze ad alto rischio costituito da tre centri di riferimento: Siena, Pisa e Firenze, il capoluogo toscano in particolare è un punto di riferimento in Toscana. Come Unità di medicina materno fetale attraiamo pazienti con complicanze della gravidanza da tutta Italia: dal centro e dal sud in misura maggiore. Se consideriamo solo le patologie cardiache, in sei anni ne abbiamo seguite in gravidanza circa 250. Abbiamo inoltre costituito un gruppo multidisciplinare dedicato per le cardiomiopatie composto da una quindicina di specialisti: anestesisti, cardiologi, intensivisti, a cui si aggiungono i neonatologi.
La gravidanza è sicuramente un passaggio molto delicato in una donna affetta
da cardiomiopatia, come opera il vostro team?
Il nostro compito è quello di valutare in anticipo i fattori di rischio e seguire le donne in gravidanza per verificare le trasformazioni cardiache. Consideri che il lavoro cardiaco aumenta dalla venticinquesima settimana di gravidanza di circa il 50% in più rispetto a prima del concepimento. Questo sforzo che il cuore materno attua è importante per sopperire alle richieste dell’unità feto- placentare. Per questo sottoponiamo le pazienti ad un controllo periodico. Vederle solo alla fine è molto rischioso perché non possiamo renderci conto dell’evoluzione delle funzioni cardiache dall’inizio della gravidanza in poi.
Quali sono i controlli specifici a cui vengono sottoposte queste gestanti?
Queste donne ricevono un controllo intensivo e personalizzato in gravidanza, anche ogni due o tre settimane a seconda del quadro clinico e delle necessità di ogni singolo caso. Sono inoltre più seguite anche dal punto di vista fetale: se normalmente bastano tre ecografie, queste pazienti ne eseguono almeno il doppio. Per semplificare molto, basta dire che il buon funzionamento della placenta è un presupposto fondamentale per il buon esito della gravidanza, perché la placenta influisce sull’emodinamica materna e dunque sul cuore. Fin qui la parte ostetrica, poi c’è il monitoraggio cardiaco vero e proprio.
Il monitoraggio su un cuore che, come già ci ha spiegato, sta subendo uno sforzo elevato…
Esatto, dal punto di vista cardiologico la problematica è legata alla cosiddetta “funzionalità di pompa”, ovvero il cuore può non essere in grado di sopperire a questo surplus di attività che la gravidanza richiede. A questo proposito vorrei parlare di un altro “attore” molto importante nel team specialistico multidisciplinare che ha in carico la madre: l’anestesista. Anche quest’ultimo segue la donna con patologia cardiaca durante tutta la gravidanza: la conoscenza dell’evoluzione delle condizioni emodinamiche materne è il presupposto del successo durante la fase finale della gravidanza ed il parto. Qui l’anestesista ha un ruolo fondamentale nel monitoraggio della funzione cardiaca, nell’equilibrio dei liquidi corporei materni, nel controllo del dolore e nella scelta dell’anestesia quando si dovesse rendere necessario un taglio cesareo. Come vede si tratta di un approccio molto complesso, in cui ognuna di queste aree di competenza deve essere sempre presente, compresa ovviamente la neonatologia.
Quando è sconsigliabile che una paziente affetta da cardiomiopatia porti a termine una gravidanza?
Ci sono casi in cui sconsigliamo la gravidanza soprattutto quando è presente una disfunzione severa del ventricolo sinistro con frazione di eiezione molto ridotta (inferiore al 30%) o se è presente un’ipertensione, cioè un aumento della pressione, nel circolo polmonare. I dati internazionali forniscono forti evidenze che in queste condizioni il rischio di complicanze materne severe è molto alto e la possibilità di andare incontro ad uno scompenso cardiaco all’inizio del terzo trimestre è troppo elevata. Abbiamo casi tuttavia in cui le donne, pur essendo informate del rischio, non rinunciano alla gravidanza. In questi casi è stato necessario uscire precocemente dalla gravidanza a 29-30 settimane in presenza di uno scompenso cardiaco materno. Per questo è fondamentale la presenza dell’équipe neonatologica specializzata nell’assistenza ai prematuri e nella terapia intensiva neonatale. Tuttavia, le gestanti che si aggravano con uno scompenso cardiaco durante la gravidanza avranno un deterioramento delle condizioni del cuore che si ripercuoterà anche sulla qualità di vita futura.
Oggi la maggior parte delle donne decide di affrontare una gravidanza oltre i 35 anni, cosa consiglia ad una paziente in questa fascia di età o più, affetta da cardiomiopatia?
Ovviamente la gravidanza è molto più favorevole in età giovanile e generalmente la sconsigliamo in età avanzata. Cerchiamo però di valutare attentamente sia gli aspetti medici che psicologici di una persona. Il desiderio di un figlio non è un impulso a termine, e cerchiamo di ascoltare le motivazioni di queste donne. Tuttavia, proseguendo con metafore sportive, deve esistere la consapevolezza che fare una maratona da giovani è relativamente semplice, farlo in età più avanzata può esporre a rischi notevoli.