Intervista a Flavio D’Ascenzi, docente Cardiologia dello Sport ’Università di Siena
(di Laura D’Ettole)
I pazienti affetti da una Cardiomiopatia non solo possono, ma devono sottoporsi ad un’attività fisica di modesta intensità, perché questa rappresenta un completamento della terapia farmacologica e previene le comorbilità. Il Dr. Flavio D’Ascenzi, specialista in Cardiologia dello Sport dell’Università di Siena, consiglia di effettuare almeno 150 minuti di attività su base settimanale e in più sessioni, purché si tratti di attività aerobica a frequenza cardiaca costante.
Flavio D’Ascenzi, lei insegna Cardiologia dello Sport all’Università di Siena, quale attività sportiva possono svolgere i pazienti affetti da Cardiomiopatie?
L’aspetto più importante è mantenere un adeguato stile di vita. Ciò significa anche praticare un esercizio fisico regolare per prevenire le comorbilità riducendo il più possibile fattori di rischio cardiovascolare che possono avere conseguenze negative per il nostro organismo, quali il diabete, il sovrappeso, l’obesità
Quali sono i limiti raccomandati per l’esercizio fisico?
Si possono praticare da un minimo di 150 a un massimo di 300 minuti a settimana di attività fisica ad intensità moderata, distribuiti in varie sessioni di allenamento. Voglio sottolineare in particolare il concetto di intensità perché è fondamentale: si può camminare, nuotare o andare in bicicletta, ma senza esporsi mai al rischio di uno sforzo eccessivo.
Il fitness oggi offre un’infinita serie di corsi e discipline sportive. C’è qualcosa da considerare off limits?
Il paziente può fare quasi tutta la ginnastica dolce: yoga, pancafit, stretching e quant’altro. Ma è importante praticare anche un’attività aerobica moderata, con un andamento pressoché costante della frequenza cardiaca, evitando sforzi improvvisi. Entro questi limiti si può scegliere quello che si vuole, in relazioni alle proprie condizioni dettate dal tipo di Cardiomiopatia. Comunque è importante seguire un corso o un’attività che piace e svolgerla in modo continuativo.
Capire il limite dello sforzo a cui sottoporsi però non è sempre facile
E’ così. Questi pazienti possono essere sottoposti a test specifici (il test da sforzo cardiopolmonare, che normalmente si effettua alcuni centri di riferimento in Italia, e può comprendere anche la valutazione dell’acido lattico nel sangue prodotto durante lo sforzo) per identificare le soglie di allenamento individuale. In questo modo è possibile costruire piani molto diversi e personalizzati per ogni paziente, che tengano conto delle sue capacità di esercizio, del suo passato in ambito sportivo, della sua condizione patologica e delle terapie che sta seguendo.
Basta recarsi ad un centro di medicina sportiva?
Per i pazienti affetti da Cardiomiopatia è importante effettuare una prescrizione personalizzata dell’esercizio fisico. A Siena abbiamo il Centro di Cardiologia dello sport presso l’Azienda ospedaliera universitaria senese. Il concetto che cerchiamo di veicolare in queste strutture è l’esercizio-terapia, ovvero prescrizioni dettagliate dell’esercizio fisico che, più che per limitare l’attività, servono a completare la cura farmacologica.
Fra un ragazzino di 15 anni e un ultra sessantacinquenne le prescrizioni sono molto diverse?
Paradossalmente siamo molto più cauti con un paziente giovanissimo che con un adulto perché nei giovani possiamo assistere ad una fase evolutiva della malattia di cui non possiamo prevedere l’esito. Con un adulto è diverso perché con valori più stabili siamo in grado di definire con più precisione i suoi limiti e consigliare esercizi fisici adeguati.
Tre anni fa la morte shock di Davide Astori, il calciatore della Fiorentina, ha portato all’attenzione di tutti l’esistenza di queste malattie cardiache. Lo sport agonistico dunque non si può mai fare…
Il punto è: se si ha una diagnosi definitiva di Cardiomiopatia è probabile che si debba rinunciare allo sport agonistico e che, in Italia, venga negata l’idoneità, in base alle raccomandazioni aggiornate, scritte da Cardiologi esperti (COCIS). Lo scopo è prevenire aritmie ventricolari (solitamente “Tachicardia o fibrillazione ventricolare”), che possono portare all’arresto cardiaco. Se non viene fatta una rianimazione con l’uso del Defibrillatore entro pochi minuti, queste aritmie portano a quella che viene poi definita “morte improvvisa”. Queste aritmie possono presentarsi durante l’attività sportiva, come nel tragico caso di Morosini, o durante il riposo o nel sonno, come nel caso di Astori. Dal 1982 in Italia esiste una legge che impone ai soggetti che intendono fare attività sportiva agonistica di sottoporsi ad uno screening medico-sportivo che porti alla certificazione di idoneità. In Italia è il medico dello sport, sotto la sua responsabilità, che decide se rilasciare o meno l’idoneità e può coinvolgere in consulenza, nei casi dubbi, cardiologi esperti nella diagnosi delle diverse forme di Cardiomiopatia o di aritmie. Ciò non vuol dire che poi si debba cessare l’attività fisica e stare seduti sul divano per tutta la vita, ma al contrario è possibile consigliare un’esercizio-terapia mirata ed ottenere anche l’idoneità per alcuni sport agonistici a basso impegno fisico.
La normativa è invece diversa nella maggior parte dei Paesi europei, dove il medico può “sconsigliare” di praticare sport, ma è l’atleta che decide di continuare a farlo, sotto la propria responsabilità.