Intervista di Francesca Conti
Giorgia Fiori è un’attrice di origini marchigiane di 31 anni. Ha iniziato ad intraprendere gli studi di recitazione durante l’università, per poi trasferirsi definitivamente a Roma per approfondire varie tecniche espressive con diversi professionisti del settore tra registi, attori e casting director. Sono tante le esperienze di Giorgia sul set dal 2014 ad oggi, tra lungometraggi, cortometraggi, spot, videoclip, ecc. Importanti opportunità per un indubbio
talento. Giorgia si è conquistata il successo con grande tenacia combattendo la sfida della cardiomiopatia che l’ha costretta a vivere con un defibrillatore impiantato, che è intervenuto successivamente per interrompere le sue aritmie. Per aiutare tutti coloro che come lei devono affrontare ogni giorno rischi e problemi legati alla malattia, ha accettato di diventare il volto di AICARM ed è impegnata per sensibilizzare il pubblico perché sostenga l’attività di tutti coloro che si sono posti la missione di aiutare i pazienti e le loro famiglie.
Come hai scoperto di avere una cardiomiopatia e che impatto ha avuto sulla tua vita?
Era l’anno della maturità, svenni mentre guidavo il motorino: la valutazione allora fu un po’generica. Ma solo un anno dopo ho avuto il primo arresto cardiaco, senza nessun sintomo o avvisaglia, ero a casa di mio padre in un ambiente familiare. Avevo appena salito 80 scalini per arrivare all’appartamento, come facevo tutti i giorni. Un medico presente ha subito praticato la rianimazione cardiopolmonare e poi i sanitari del 118 hanno interrotto la fibrillazione ventricolare con un defibrillatore esterno. Sono entrata in coma e dopo il risveglio mi hanno impiantato il defibrillatore transvenoso (ICD). Per una ragazza di quell’età la presa di coscienza non è facile, perché ti senti sbagliata e con dei limiti che a diciannove anni non immagineresti mai di avere.
Che cosa ti ha dato lo studio della recitazione?
Proprio in quegli anni avevo iniziato lo studio della recitazione in concomitanza con l’università. È stata proprio la recitazione a salvarmi la vita, in tutti i sensi, perché, in un momento così emotivamente complesso, ero già immersa nello studio approfondito della psicologia per imparare a gestire le emozioni e a trasformare il trauma. La trasformazione del trauma mi ha permesso di prendere un fatto negativo e renderlo qualcosa di estremamente costruttivo e positivo, soprattutto per interpretare e avere la capacità di entrare e uscire dai diversi ruoli in modo sano, senza contraccolpi psicologici.
Tutto questo mi ha reso forte e in grado di gestire la mia situazione clinica in modo artistico, ho fatto di questa disabilità un’opportunità per quello che sarebbe stato il mio percorso da lì in avanti.
Da quel momento ho avuto altri tre arresti a distanza di sei mesi l’uno dall’altro, è stato complesso da sostenere, soprattutto perché mi sembrava di fare dei passi avanti e poi di tornare indietro. Durante il ricovero per l’ultimo arresto ho dovuto preparare la mia tesi di laurea, che ho costruito dentro l’ospedale ed è stata una bellissima tesi. Ho sfruttato questo mio periodo di instabilità cardiaca al massimo delle sue potenzialità. Oggi mi reputo fortunata per aver vissuto questo momento di vita così intenso, perché mi ha portato ad essere una persona consapevole, estremamente attenta ma con una grandissima voglia di vivere e di sfruttare in modo prezioso il tempo che ha a disposizione.
Questo tuo percorso così peculiare ha avuto un ruolo nelle tue scelte professionali? Nella scelta dei personaggi e dei lavori ai quali hai preso parte?
Le tematiche della socialità e della disabilità mi hanno seguito nel tempo. Ho avuto anche l’opportunità di una catarsi con il film “Ancora volano le farfalle”, dove sono coprotagonista. In quel film sono dovuta stare dall’altra parte, ovvero nei panni di una ragazza che ha a che fare tutti i giorni con il sostegno della sorella disabile. Mi sono trovata dalla parte del curante e non del curato, questo mi ha dato forza e mi ha fatto vivere le responsabilità, le frustrazioni e le difficoltà che ha una persona che segue un familiare con queste caratteristiche. A settembre girerò un film ispirato a una storia vera in cui sono la protagonista femminile e interpreto la moglie di un uomo che a causa di un’infezione diventerà paraplegico. Di nuovo un ruolo in cui avrò a che fare con la cura, il sostegno e la vicinanza a una persona con disabilità. Quindi è una tematica che ritorna e mi porta a prendere molto a cuore questi lavori. Penso che noi attori abbiamo la grande responsabilità e opportunità di poter condividere e immedesimarci in ruoli e situazioni che possono essere di ispirazione e di aiuto a tante altre persone
Come hai incontrato AICARM e perché hai deciso di diventarne testimonial?
Tempo fa sono stata curata e aiutata dalle persone che hanno fondato AICARM e quando ho potuto essere d’aiuto attraverso il cinema e l’arte ho voluto dare supporto al lavoro quotidiano dell’associazione. Ho parlato con il Prof. Cecchi che stava cercando un volto che rappresentasse AICARM, avevo voglia di rendermi utile in qualche modo, volevo ricambiare quello che loro avevano fatto per me in passato. È stato quasi il destino a volere che andasse così: la proposta è stata loro ma io non vedevo l’ora di mettermi a disposizione perché credo che quello che fanno sia realmente utile e necessario per i pazienti cardiomiopatici e per chi li assiste. Ritengo che sia molto importante la formazione dei ragazzi anche molto giovani alla prevenzione e al primo soccorso verso le persone che hanno un arresto. Sono molto vicina anche al lavoro di “Cuori in Ascolto” (attività dell’Associazione) che offre la possibilità di mettere a disposizione un consulto psicologico per far sentire i pazienti meno malati e meno diversi dando loro la possibilità di scambiarsi esperienze ed essere utili gli uni agli altri.
Che messaggio vorresti mandare alle persone giovani che si trovano di fronte a un percorso come il tuo?
Penso che quando qualcuno scopre di avere una cardiopatia o qualunque tipo di malattia ha l’opportunità di vedere la propria unicità ed ognuno, in base a ciò che gli succede nella vita, ha anche l’obbligo morale di trasformarlo in qualcosa di positivo che lo renda più forte. È bello che ogni ragazzo si senta speciale ed è bello che, in qualunque fase della vita, ciascuno possa trovare in queste disavventure, una forza che lo faccia arrivare il prima possibile ai suoi sogni. Sono convinta che in ogni disabilità si possa cogliere un’opportunità.